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ricerca di base sulla personalità ricerca psicosociale applicata

LA RICERCA DIVENTA SCIENZA QUANDO VIENE CONDIVISA E RESA TRASPARENTE GRAZIE ALLA VOLONTA' E ALL'INTELLIGENZA DEI MOLTI CHE HANNO COLLABORATO AL SUCCESSO DI ITAPI Benvenuti nel sito ufficiale di ITAPI ® il Programma italiano di ricerca scientifica sulla personalità, i valori e gli stili di vita, diretto da Felice Perussia. Il Programma ITAPI ® è realizzato anche grazie al sostegno del Laboratorio di PsicoTecnica.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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La gran parte dei materiali messi in condivisione su itapi.psicotecnica.com rappresenta una sintesi e in parte uno sviluppo (specie con riferimento a risorse reperibili in internet) di quanto viene prodotto nell'ambito del Programma ITAPI.
La nostra procedura di ricerca tipica è:
A) lavoro di esame della letterattura e soprattutto di indagine in laboratorio e/o sul campo;
B) redazione di un Rapporto Tecnico che presenta in termini molto approfonditi quel passaggio;
C) redazione di un testo, a più ampia diffusione, che sintetizza un'intera fase della ricerca, anche a partire dai Rapporti Tecnici; come nel caso del Manuale di ITAPI-G;
D) progressiva e trasparente messa a disposizione della collettività di scienziati, professionisti, studenti e utenti, in licenza freeware e openaccess, della gran parte (e comunque di tutto quanto è essenziale) del materiale già pubblicato (tramite itapi.psicotecnica.com).
 
E' facile rendersi conto di come tutto questo lavoro possa essere lungo, complesso e in continua evoluzione.
Cerchiamo di aggiornare le varie parti del sito, per quel che ci riesce, almeno mensilmente (un po' come una rivista).
Ma c'è molto (di già realizzato) che stiamo ancora aggiungendo.
Tornate a trovarci e ne troverete sempre di più.
Grazie.
 
 
 
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FILOSOFIA di
ITAPI ®
 
 
 
 
Il Programma ITAPI (Italia Personality Inventory o Inventories) nasce in relazione ad una particolare filosofia scientifica, di ricerca, psicologica.
 
Non è tanto semplice spiegarla in poche parole.
Tuttavia proviamo a presentarne le linee principali, rimandando eventualmente alla prima parte del Manuale di ITAPI-G per chi volesse approfondire in modo particolare il tema.
 
Comunque, detto in sintesi (e riprendendo una parte di quanto viene detto appunto nel Manuale di ITAPI-G), ITAPI persegue infatti alcuni obiettivi di carattere scientifico, epistemologico ed operativo, tra cui quelli di:
 
 
 
A) Contribuire, per quanto possibile, all'evoluzione della ricerca sulla personalità

I Test mentali presentano infatti limiti notevoli, per lo più quando si pretende di usarli con obiettivi discriminatori o, come si è detto qualche volta, di stigmatizzazione (tipo: selezioni del personale, diagnosi psichiatriche ecc) ovvero, in qualche modo, contro il soggetto.
Gli Inventari psicologici sono invece uno strumento utile e interessante quando si propongono obiettivi di ricerca o quando vengono impiegati a fianco del soggetto (ad esempio: nel counseling, nelle indagini psicografiche, nel bilancio delle competenze ecc).
E noi cerchiamo, con il Programma ITAPI, di contribuire a sviluppare il grande potenziale di questo secondo approccio; limitando invece quanto più possibile ogni modo di procedere che possa risultare, anche solo potenzialmente, di danno per il soggetto.
 
 
 
 
 
 
B) Operare costantemente, dall'inizio alla fine, con specifico riferimento anche alla tradizione teorica e scientifica propria al contesto culturale italiano ed europeo

Ovvero, detto altrimenti: evitare che gli strumenti di ricerca (in Italia così come in Europa e in tanti altri Paesi) siano solo la naturalizzazione, o peggio la semplice traduzione, di Inventari realizzati in altri ambiti culturali e poi trasferiti di peso nel contesto locale. Il che avviene, con straordinaria frequenza, nella letteratura scientifica specializzata del nostro Paese, così come in tante altre culture extra-statunitensi.
Anche per questo abbiamo posto particolare attenzione a sviluppare gli Inventari, così come tutti gli altri supporti, prodotti nell'ambito del Programma ITAPI, anche sul piano internazionale. Per cui, ad esempio: ITAPI-G esiste in diverse versioni, sviluppate in varie lingue e contesti culturali oltre che in quello italiano.
 
 
 
 
 
C) Essere freeware e open source. Giusto per ispirarsi ad alcuni diffusi anglismi che sono legati alla tradizione di internet e del web; ma soprattutto che si collegano allo spirito della parte migliore di tale tradizione

Tutto il materiale relativo a ITAPI è infatti legalmente depositato e rigorosamente soggetto a copyright, ma in uso libero per scopi no-profit; purché si comunichi al gruppo di lavoro il fatto che li si stanno usando e se ne citi sempre, correttamente e puntualmente, la fonte.
Mentre tutto il “codice sorgente” delle ricerche di ITAPI viene messo a disposizione della collettività di studiosi e di studenti con il massimo dettaglio con lo scopo di facilitare un lavoro di collaborazione e di confronto nell'ambito della ricerca scientifica di base.
 
 
 
 
 
 
D) Avere carattere no-profit, nel senso di operare in un contesto non condizionato da ragioni di produttività economica e, nei limiti del possibile, a favore della comunità

La gran parte dei Test e degli Inventari prodotti in campo psicologico si lega infatti strettamente a interessi commerciali. Tanto che, nelle rassegne del settore, si distinguono classicamente due grandi categorie di Reattivi: i Test Commercially Published (restricted) e i Test Noncommercial-Experimental (non-restricted). Dove i Reattivi creati nell'ambito di ITAPI appartengono decisamente a questa seconda categoria.
I Test mentali sono infatti spesso utilizzabili solo con notevoli vincoli e comunque solo a pagamento, come avviene in Italia o anche in Europa per la gran parte degli Inventari di personalità (i quali peraltro sono spesso, lo ricordiamo ancora, quasi solo statunitensi adattati o anche solo tradotti).
Nel lavoro scientifico di base, che vuole un atteggiamento disinteressato e senza particolari vincoli applicativi per poter operare nella necessaria condizione di creatività e di indipendenza, riesce invece difficile immaginare una ricerca affidabile la quale nasca da obiettivi di vendita (ad esempio: a delle aziende per realizzare la selezione del personale o simili).
Per cui tutti i lavori realizzati nell'ambito del Programma ITAPI sono, come appena ricordato, in libero uso no-profit (sempre: purché si aggiorni il gruppo di lavoro sul fatto che li si stanno usando e se ne citi correttamente e puntualmente la fonte), ma non possono essere commercializzati da terzi o essere da loro utilizzati in una qualsiasi forma che abbia risvolti commerciali (o, men che meno, di selezione del personale).
 
 
 
 
 
 
E) Essere quanto più possibile trasparenti, tanto sul piano scientifico che su quello tecnico che su quello teorico-epistemologico
 
La gran parte dei Test psicologici infatti, specie per via della loro natura commerciale, viene presentata in letteratura solo per accenni, oppure viene pubblicata (si fa per dire) in sedi quasi irreperibili o in forme molto riservate.
Se vi mettete d'impegno e cercate il testo esatto e completo del questionario utilizzato in uno specifico Test, magari anche molto noto e utilizzato, o le analisi statistiche dettagliate su cui questo si fonda, scoprirete infatti subito che (con eccezioni davvero rare) è quasi impossibile trovare, almeno nell'ambito scientifico (ovvero pubblico e condiviso), materiale del genere che sia completo ovvero, spesso, anche solo appena un po' approfondito.
Infatti: la pubblicazione tipica di un Inventario spesso non riporta gli item effettivamente utilizzati (ma, eventualmente, solo accenni al nome delle Scale che li assommano a blocchi), o solo qualche rada citazione (di solito: meno del 10% degli item reali); per non parlare di elaborazioni statistiche appena approfondite, come ad esempio quelle riferite item per item, che spesso sembrano essere come inesistenti. Il che significa, tra l'altro, che lo studioso o lo studente non può andare in biblioteca e studiarli, come invece accade per la generalità dei materiali realizzati negli ambiti della scienza.
Tale abitudine appare curiosa (diciamo così), particolarmente se si considera che la gran parte del materiale su cui il Test è stato costruito, specie se raggiunge un certo livello di qualità, si fonda spesso proprio sulla letteratura scientifica pubblicata (da cui prende le mosse), ovvero dai contributi messi liberamente a disposizione di tutti i ricercatori, ma cui gli autori del nuovo Reattivo non sembrano affatto voler contribuire nella stessa misura in cui vi hanno attinto.
Ovvero, detto altrimenti: molti autori di Test utilizzano volentieri quel poco o quel tanto che la comunità degli scienziati mette (generosamente) a disposizione di tutti, ma sono poi molto ritrosi e cauti nel condividere con tale comunità i propri risultati (salvo che a pagamento); benché questi siano derivati appunto, in buona parte, anche dal confronto con tutto quanto viene pubblicato (da altri).
Inoltre: in molti casi, i lavori preliminari e di taratura del Test (anche di quello che nella forma definitiva esiste solo in versione commerciale) sono stati in effetti realizzati utilizzando fondi pubblici o di fondazioni no-profit (tipicamente: per la ricerca scientifica) ovvero di fonte collettiva. Il che presupporrebbe invece, a maggior ragione, che i risultati venissero appunto restituiti con il massimo dettaglio a quella stessa collettività che li ha finanziati.
La volontà e la pratica della riservatezza commerciale per i Test suona peraltro del tutto legittima, stante che viviamo in un contesto sociale largamente (e, per tanti versi: fortunatamente) basato anche sul commercio e sulla giusta retribuzione del lavoro. Ma si lega di fatto ad una forma di riduzionismo professionale, più che a quella dimensione scientifico-accademica di cui pure finge di essere parte. Mentre è funzionale quasi unicamente all'obiettivo di riservare la circolazione dei Test alla sola corporazione degli psicologi (col relativo profitto che viene riservato solo ad alcuni tra essi).
Tale pratica, ancorché talvolta legittima, sottrae però la gran parte degli Inventari psicologici (peraltro: analogamente a quanto avviene anche in altri luoghi della “scienza”) a quei criteri di trasparenza e di condivisione che, come già ricordato, stanno alla base dell'esistenza di una comunità scientifica. Ed è anche da questa oscurità, legata pure al desiderio di tanti colleghi di lasciar credere di possedere (nel campo delle scienze mentali) qualcosa di simile alla leggendaria e preziosa “formula segreta della coca-cola” (fondamentale ed efficacissima, ma assolutamente non pubblicabile né riproducibile; e quindi anche un po' magica), che deriva il parziale discredito di cui i Test tante volte godono.
E ci rendiamo ben conto che l'assoluta trasparenza e chiarezza con cui vengono presentati i lavori realizzati da ITAPI può ridurre in parte quell'alea magica che alcuni attribuiscono ai Test, rendendoli dunque uno strumento più prosaico e concreto di quanto forse piacerebbe sognare. Tuttavia, posto che probabilmente questo effetto (in qualche modo: di smascheramento) si potrebbe determinare in forma assai più drammatica per molti altri Inventari (solo che emergesse nel dettaglio il modo in cui sono fatti), preferiamo, almeno in questa occasione, dimostrarci particolarmente solidi sul piano scientifico piuttosto che particolarmente fantasiosi sul piano delle promesse miracolose.
 
 
 
 
 
F) Cercare di limitare il condizionamento commerciale che può interferire con le rilevazioni in tema di psicologia sociale e della personalità, anche sul piano dell'uso nel contesto dello studio e della ricerca ovvero su quello editoriale
 
L'appena citata azione di oscuramento sul contenuto scientifico dei Test è particolarmente curiosa, specie se si considera che viene spesso perpetrata con la piena connivenza fornita da riviste auto-definentesi come scientifiche, le quali sembrano accettare serenamente pubblicazioni tanto incomplete (quali sono tipicamente quelle relative ai Test) quasi solo in nome del profondo rispetto per i redditi dei professionisti che li producono e delle società per azioni che spesso gestiscono la dimensione commerciale dei Test stessi (e della pubblicità scientifica in generale).
In effetti, le riviste scientifiche trovano storicamente la loro ragione d'essere nell'obiettivo di mettere a disposizione della comunità dei ricercatori i risultati appunto della scienza. Anche perché la scienza esiste, almeno nella retorica scientifica, solo perché è appunto libera, condivisa e continuamente verificata, oltre che vivificata, dall'attento sguardo di tutti i ricercatori.
In realtà: tali riviste, che si propongono appunto come “scientifiche” e che nella gran parte dei casi sono nel portafoglio commerciale delle maggiori multinazionali dell'editoria, rappresentano un solido business economico. Queste si reggono infatti, in larga parte, su un sistema di auto-qualificazione reciproca fra corporazioni di autori, certificato da una forma di hit-parade o di auditel (detto impact factor) che ne dimostra “oggettivamente” il raggiunto livello di conformismo. Ma non si tratta certo di materiali “pubblici” (sempre: come si diceva una volta), visto che l'accesso a tali prodotti è condizionato a cospicui versamenti in denaro, dal carattere decisamente privatistico.
Non è certo questa la sede per sviluppare l'interessante tema (di cui peraltro la pubblicazione o pubblicità di molti Test è un esempio davvero macroscopico). Merita però ricordare l'affascinante meccanismo che gli editori di tali riviste scientifiche sono riusciti a costruire nel tempo, approfittando dell'insicurezza di molti autori (e di molte istituzioni) che sperano di utilizzare questi strumenti editoriali per costruire una forma di credibilità (per sé e/o per la propria disciplina).
Infatti, per quanto possa suonare strano: benché i costi (spesso: pubblici) per produrre le ricerche siano in genere molto elevati, le riviste “scientifiche” (in genere: private) non forniscono mai un compenso agli autori (come invece accade per il resto dell'editoria), i quali vi scrivono dunque solo gratuitamente (cedendo però completamente, con un contratto rigido e sanzionatorio, tutti i diritti di sfruttamento commerciale alla rivista). L'elevato costo al pubblico di tali journal e review (la cui materia prima, per l'editore, è completamente gratuita) viene però calcolato con una strategia di prezzo che è molto simile a quella impiegata dalle compagnie aeree (tariffe del tutto diverse per lo stesso identico prodotto, costruite in base al fatto che l'utente: è nella necessità di volare, e allora il prezzo sale vertiginosamente; oppure viaggia solo a tempo perso, e allora il prezzo cade a livelli minimi).
Chi traccia la strada, in psicologia, è comunque la corporazione stessa degli psicologi. I listini della American Psychological Association sono infatti attualmente (2005) di questo tono: abbonarsi al Journal of Experimental Psychology General (circa 500/600 pagine l'anno, su argomenti di laboratorio non proprio popolari) costa sui 200 dollari e rotti (sui 30 centesimi a pagina); abbonarsi al Journal of Personality and Social Psychology (verso le 800/900 pagine l'anno, ma su argomenti un po' più vivaci e soprattutto con connotazioni di qualificazione nell'ambito professionale per gli autori) costa invece intorno ai 1.200 dollari (oltre un dollaro a pagina); acquistare via internet un medio articolo, che sta solitamente sulle 10/20 pagine in .pdf (zero spese di stampa e di distribuzione), costa tipicamente 25 dollari; la possibilità di accedere alla banca dati PsychINFO, che riporta gli abstract degli articoli, va da un minimo assoluto (e molto eccezionale) di 600 dollari l'anno fino a un massimo di circa 25.000 dollari l'anno (a seconda di chi lo chiede). Mentre la natura “pubblica” (ma anche: libera e scientificamente disinteressata) di un meccanismo fondato su vincoli economici del genere appare evidente di per sé.
Comunque, tornando al più specifico caso dei Reattivi mentali: risulta abbastanza chiaro che la condizione di sostanziale (semi)opacità, tipica dei Test (quale si presenta attualmente in larga parte della letteratura detta scientifica in materia), nasce dallo sforzo, attuato in modo quasi maniacale da molti autori ed editori, per mascherare il dettaglio dei dati relativi, specie con il fine di renderne impossibile l'uso a partire dalla pubblicazione, bensì solo essendosi rivolti direttamente, dietro (cospicuo) esborso di denaro, all'azienda che incassa le royalties. Tanto che spesso la forma completa del Reattivo non si trova nemmeno nel Manuale ad esso intitolato, bensì eventualmente (e talvolta nemmeno lì) in ulteriori costosi “fogli di somministrazione” (assolutamente: non-foto-copiabili, pena la minaccia di pesanti sanzioni, soprattutto pecuniarie).
Con il Programma ITAPI, intendiamo invece condividere il più ampiamente possibile, per quel che ci riesce, i dati della ricerca con la comunità scientifica, così da permettere a tutti di valutarli e, se lo ritengono opportuno, di criticarli al dettaglio. Per cui, ad esempio, il questionario di ITAPI-G viene pubblicato qui assolutamente per intero; mentre, come abbiamo già accennato, sul sito www.itapi.psicotecnica.com ne sono pubblicate anche diverse altre versioni complete, oltre a quella italiana, tra cui quelle: anglo-americana, spagnola,
Portuguese-brasiliana, francese, tedesca, albanese.
Anche perché, per poterci criticare (come speriamo) in termini scientificamente corretti e credibili, si dovranno necessariamente utilizzare dati almeno altrettanto trasparenti e dettagliati quanto i nostri. Per cui forse emergerà qualcosa di più scientifico anche sui Test commerciali normalmente in uso e di cui alla comunità (degli scienziati, degli studenti, degli utenti ecc) non viene generalmente dato di sapere nemmeno da quali domande sono composti.
 
 
 
 
 
 
G) Permettere a coloro cui il Test viene sottoposto di avere elementi di verifica, in termini di consenso informato, quanto più possibile completi e comprensibili
 
Da quanto appena accennato (obiettivi commerciali, segretezza, riservatezza corporativa, mancanza di condivisione ovvero di verifica scientifica trasparente ecc) discende direttamente anche la circostanza per cui le persone, pure quelle cui il Test viene somministrato, generalmente non possono (per quanto la cosa possa suonare incredibile, ma è davvero così) avere chiara e completa cognizione degli strumenti che pure si applicano loro, magari come pretesto per licenziarle, per non assumerle (a causa della loro disposizione psicologica) o per definirle come deteriorate da una qualche presunta malattia mentale.
Mentre noi riteniamo che l'opportunità di sapere debba riguardare anche il cosiddetto “oggetto” della misurazione (che per noi è decisamente un soggetto) e non solo, pur con tutti i limiti indicati, la corporazione di chi ricava reddito professionale dal fatto di proporsi come suo misuratore.
Per cui preferiamo mostrare quanto gli strumenti realizzati nell'ambito del Programma ITAPI siano limitati; benché forse anche meno di altri, di cui peraltro non sappiamo gran che.
Così come ci piace mostrare quanto tali strumenti siano al contempo assai interessanti, pure con tutti i loro limiti. Piuttosto che lasciare credere implicitamente che tali limiti non ci siano per il semplice fatto che non ne parliamo o li lasciamo nella parte riservata e appunto (spesso: giustamente) “non pubblicabile” del lavoro.
L'idea di conoscere al dettaglio gli strumenti su cui si basa il profilo di personalità redatto attraverso un Test viene infatti considerata, da una parte degli psicologi, come una pretesa inappropriata o addirittura anti-scientifica (specie nella convinzione che il pubblico non debba conoscere i dettagli, altrimenti gli riesce più facile simulare). A molti utenti apparirà invece doveroso che si sappia in base a quali criteri una persona, ad esempio, viene definita “psicopatica” ovvero le si rifiuta un posto di lavoro per il quale magari possiede le competenze (poniamo: di esperienza, di studio ecc) adeguate.
E infatti: riportare qualche esempio degli item utilizzati da alcuni Inventari di personalità può talvolta risultare sconcertante, considerando gli effetti che a partire da questi si possono determinare. Mentre riesce pure difficile, visto che, a rigore, l'elenco degli item è segreto e vincolato dalle royalties. Ci proviamo comunque lo stesso, utilizzando citazioni minime (per non correre troppi rischi) e soprattutto utilizzando solo dei riferimenti molto classici (già proposti in: Perussia, 1974) confidando che, a trent'anni di distanza, tutto sia più accettabile.
Riportare qualche esempio classico di item presente nei più diffusi Test sulla personalità, potrà forse apparire anche pleonastico; almeno: nel Manuale dedicato a un Inventario specifico. Ma potrà forse aiutare a capire alcuni possibili limiti dei Test attualmente disponibili anche in Italia e in Europa. Mentre forse aiuterà a rendere ragione delle motivazioni che possono spingere degli studiosi di psicologia a concentrare su ITAPI tutto il tempo e lo sforzo che la costruzione di un nuovo Inventario di personalità richiede.
Scopriamo infatti, ad esempio, che l'Inventario di personalità più utilizzato al mondo, ovvero il solito Minnesota Multiphasic Personality Inventory, dimostra l'utilità scientifica di utilizzare l'item “Molti dei miei sogni riguardano argomenti sessuali” (MMPI, 1951, item 320) per rilevare la diagnosi di “schizofrenia”, cui la risposta “vero” a questo item risulta chiaramente correlata secondo il Manuale del Test. Il che potrebbe apparire però discutibile ad alcuni, come ad esempio a un seguace della psicoanalisi. Un'analoga correlazione positiva con la diagnosi di “schizofrenia” si ottiene poi rispondendo “falso” all'affermazione “Mi piace far parte di un gruppo di persone che si fanno scherzi tra di loro” (MMPI, 1951, item 254). Il che potrà suonare forse (molto: forse) credibile nella cultura statunitense (la quale si dice sia molto semplice ed allegra) ma forse non altrettanto per gli usi italiani e europei. E continuando, ma senza esagerare, veniamo a scoprire pure che: chi risponde “falso” all'affermazione “Mi piacciono i libri gialli” (MMPI, 1951, item 12) offre allo psicologo un indizio evidente di Isteria, sempre secondo il Manuale.
Mentre certo non è solo lo MMPI a presentare qualche potenziale problema (almeno agli occhi di una persona che viene scientificamente giudicata e trattata, o magari maltrattata, sulla base di strumenti del genere). Se si considera, ad esempio, che la domanda “Negli ultimi cinque anni, sei stato riconosciuto capo di qualche gruppo; come ad esempio: Presidente, Direttore, Comandante?” (Test Bernreuter, senza data, item 111) contribuisce, secondo il Manuale relativo, a definire come nevrotico il soggetto che risponde “no”. Analogamente, se si risponde “sì” alla domanda “I libri ti fanno maggiore compagnia degli amici?” (Test Bernreuter, senza data, item 44), si ottengono 3 punti di tendenza nevrotica. Benché, cambiando test e rispondendo invece “sì” alla domanda (apparentemente inversa) “Le attività sociali sono quelle che ti soddisfano maggiormente rispetto alle altre: ad esempio studio, letture, sport individuali ecc?” (Test Maudsley, 1964, item 26) si prendono lo stesso 2 punti di nevroticismo.
Di solito, la valutazione delle risposte è piuttosto univoca, per cui il soggetto guadagna punti sulla Scala di Nevrosi, ad esempio, se risponde affermativamente ad item quali: “Ti capita spesso di sentirti infelice?” (Test Bernreuter, senza data, item 8), oppure “Sono piuttosto nervoso” (MMPI, 1951, item 506); ovvero se risponde negativamente ad item quali: “Sei abitualmente una persona senza fastidi?” (Test Maudsley, 1964, item 54), oppure “Sono sempre o quasi sempre contento” (MMPI, 1951, item 107), oppure “Non ritengo che il matrimonio sia fondamentale per la felicità presente e futura” (Test Bernreuter, senza data, item 120). Mentre invece il soggetto si prende un bel punto sulla Scala di Depressione ogni volta che risponde negativamente ad item quali: “Vado in chiesa quasi ogni settimana o più spesso” (MMPI, 1951, item 95) ovvero “Credo nel Giudizio Universale” (MMPI, 1951, item 98).
Analogamente, tanto per evocare un esempio meno patologistico: per risultare Uomini alla scala di Mascolinità-Femminilità dello MMPI è sufficiente dichiarare la propria passione per: le riviste di meccanica (item 1), il lavoro di guardaboschi (item 81), la carriera militare (item 144), l’andare a caccia (item 223), ovvero, essendo giornalista, per la specialità di cronista sportivo (item 285). Per essere definiti Donne, occorre invece dichiarare la propria passione per: il lavoro di bibliotecaria (item 4), saltare la corda (item 70), le storie d’amore (item 77), il lavoro di fioraia (item 87), il lavoro di infermiera (item 92), la cucina (item 140), la storia di cappuccetto rosso (item 295), le bambole (item 300).
Ma può capitare anche che il soggetto indagato non sappia bene come reagire all'affermazione “Ogni giorno bevo moltissima acqua” (MMPI, 1951, item 32); la quale non rappresenta una buona idea (come molti medici tendono a suggerire) bensì fa acquistare un punto sulla Scala di Ipomania, in caso di risposta affermativa, o attribuisce un punto sulla Scala di Isteria, in caso di risposta negativa.
Infine, per completare questo schizzo, possiamo evocare ancora l'adattamento e la standardizzazione italiana della forma C (quella breve) del 16 PF di Cattell (Cusin e Novaga. 1962; Novaga, 1977). Qui infatti, gli item sono relativamente chiari, ma è meno comprensibile la natura dei Tratti cui si riferiscono. Non è infatti sempre chiaro che cosa ciascuna risposta misuri, come ben si vede dagli esempi seguenti, che riportano tra parentesi, accanto all'item, il Fattore-Tratto cui questo si riferisce: “Conoscendo bene entrambi, preferirei giocare: a) agli scacchi (Radicalismo); b) alle bocce (Conservatorismo)” (Item 31); “Mi piacerebbe praticare: a) la scherma e il ballo (Phemsia); b) la lotta o il calcio (Harria)” (item 9); “Il Paese dovrebbe stanziare più fondi per: a) la sicurezza collettiva (Phemsia); b) l'istruzione (Harria)” (Item 46); “Ammiro di più: a) un uomo gentile ma incostante (Bassa Forza del Super-Io); b) un uomo mediocre ma senza debolezze (Alta Forza del Super-Io)” (Item 58); “Penso che molta della moderna educazione sia meno saggia della vecchia opinione che l'indulgenza rovina il fanciullo: a) sì (Insicurezza); b) no (Sicurezza)” (Item 64).
Insomma, per dirla in due parole, molte prove psicometriche raramente rispettano fino in fondo (e talvolta, anzi, davvero molto poco) quelli che generalmente si considerano come i diritti fondamentali del cittadino-utente, con riferimento a qualsiasi prodotto-servizio: 1) Dritto alla sicurezza, cioé essere protetti rispetto al Test e avere la certezza che la prova non può recare danno a chi la affronta; 2) Diritto all'informazione, cioé ricevere tutti gli elementi per conoscere con dettaglio di che cosa si tratta, comprese le alternative e le eventuali controindicazioni; 3) Diritto alla scelta, cioé poter decidere liberamente se sottoporsi al Test oppure no, se accettare quel Test, più certificato, ma magari non quell'altro, meno affidabile, anche perchè tutti gli elementi di conoscenza che permettono la scelta sono facilmente accessibili; 4) Diritto ad essere ascoltati, cioè avere voce in capitolo, come utenti, rispetto alla produzione e allo sviluppo del Test, potendo far valere presso gli enti produttori e somministratori le proprie visioni e valutazioni.
Mentre, con il Programma ITAPI, cerchiamo di offrire un piccolo contributo che tenga il più possibile conto, per quel che ci riesce, dell'utente; che noi consideriamo un alleato, da cui imparare e con cui collaborarare, ma non certo un antagonista da controllare.
 
 
 
 
 
 
H) Fornire qualche notizia di inquadramento che aiuti a capire anche il senso del Test e delle sue modalità d'uso; invece che dare (come accade quasi sempre) implicitamente per scontato che le caratteristiche determinanti di un Reattivo sono legate esclusivamente alla metodologia della sua realizzazione
 
La gran parte dei Test, siano essi di attitudine o di livello, viene infatti presentata, tanto nei Manuali dedicati a specifici Test quanto nei manuali generali sulla materia (sia essa la personalità o la metodologia psicometrica) in termini quasi solo “referenziali”. Gli autori si limitano cioè a indicare, ovvero a riferire, l'esistenza dell'apparato rappresentato da quello specifico Test, descrivendone le caratteristiche in termini sostanzialmente constatativi (si tratta di uno strumento; che è fatto così e così; che si maneggia in questo modo ecc). Ciò significa, fondamentalmente, che la generalità dei Reattivi psicologici viene descritta come se si trattasse di strumenti asettici, di cui limitarsi a rilevare le caratteristiche tecniche; ma di cui non è necessario e nemmeno utile esplicitare le implicazioni d'uso (quasi come se non ce ne fossero).
Il messaggio implicito in una simile ricorrente modalità di presentazione è del tipo: siamo certamente nel campo della scienza (leggi: la descrizione dell'intelligenza o della personalità, definita attraverso il Test, è uno strumento scientifico sicuro tanto quanto la descrizione dei globuli rossi o delle piastrine, definita attraverso l'analisi del sangue); l'uso che si fa del Test (nel bene o nel male) non dipende dunque dallo strumento, che si limita ad utilizzare un metro impersonale per constatare freddamente le caratteristiche di un fatto del tutto oggettivo e conclamato (tipo: l'esistenza e la differente distribuzione dell'intelligenza, ovvero dei quozienti intellettuali, ovvero delle malattie mentali ecc tra le persone), bensì eventualmente dalla buona o dalla cattiva volontà dello scienziato che lo usa, ovvero delle autorità che magari strumentalizzano il contributo dello scienziato stesso. Al quale scienziato, in quanto sacerdote della scienza (sia essa la fisica nucleare o la psicologia dell'età evolutiva), non può venire attribuita nessuna colpa, almeno riguardo a quella natura della natura che lui si limita a rilevare e testimoniare con gli opportuni strumenti oggettivi.
Nell'ambito del Programma ITAPI cerchiamo invece di ricordare sempre almeno l'esistenza dei termini “contestuali”, che caratterizzano l'impiego anche di un Test. Ovvero: che la conoscenza (scientifica, filosofica, psicologica ecc) non esiste solo nel cielo, ma anche sulla terra; o, detto altrimenti: è teorica soltanto in teoria. Mentre, quando si esercita in azione reale e concreta (ovvero sempre; se vogliamo: pure nell'azione di produrre una teoria) deriva necessariamente le sue qualità anche dai modi (contesti, intenzioni, effetti, conseguenze ecc) in cui viene pragmaticamente impiegata nella realtà.
Ci preoccupiamo insomma di ricordare sempre che gli strumenti psicometrici (compresi, ovviamente, quelli realizzati dal nostro gruppo di ricerca), i quali tentano di misurare, o quanto meno di saggiare in qualche modo, l'intelligenza o la personalità, non possiedono affatto la relativa oggettività di un termometro rispetto al calore o di uno sfigmomanometro rispetto alla pressione arteriosa. Mentre vivono anche di una relazione sia attiva sia passiva con la realtà; o quanto meno: con la realtà umana, culturale, soggettiva ecc, da cui in parte dipendono e che in parte determinano. Analogamente a qualsiasi scelta o atto umano, ma in una misura forse anche superiore alla media, i Test psicologici vengono contestualizzati da, mentre allo stesso tempo contestualizzano, livelli molteplici di realtà: scientifici, psicologici, epistemologici, economici, politici, spirituali ecc. Il che accade, quanto meno, così nella sfera individuale come nella sfera sociale delle persone.
Riteniamo peraltro che non sia il caso di ripercorrere, nel Manuale relativo ad un nuovo Inventario psicologico, tutta la storia della psicologia della personalità piuttosto che tutta la storia della misurazione in psicologia, ovvero dei loro pregi e dei loro limiti. Ma non ci sembra nemmeno il caso di ignorare completamente il tema, di non ricordarlo neanche per accenni, o (peggio) di fare finta che la questione non esista affatto o che non riguardi anche questo specifico Test.
 
 
 
 
 
 

 
 
Ma ci fermiamo qui, stante che simili esempi possono ben bastare.
 
Per cui aggiungiamo ancora, venendo invece ad aspetti un poco più tecnici, solo l'accenno a un paio di altre particolari decisioni epistemologiche che abbiamo voluto prendere nell'ambito del Programma ITAPI.
 
 
 
I) ITAPI, volutamente, non prevede una Scala di “bugie” o Scala Lie (all'anglo-americana), la quale invece è spesso presente in altri Inventari di Personalità
 
Il motivo principale trova la sua radice nel fatto che ITAPI viene concepito soprattutto come programma di ricerca scientifica, ovvero come strumento che può aiutare ad affiancare gli individui nella loro formazione e nel loro sviluppo; per cui è stato realizzato come strumento per accompagnare le persone e non certo come trappola per “prenderle in castagna”.
Al contrario: siccome molti Test commerciali sono costruiti invece in primo luogo per essere venduti ai gruppi professionali piuttosto che alle cliniche (per certificare diagnosi) ovvero alle aziende e alle organizzazioni in genere, specie con fini di selezione del personale (pratica che invece è esplicitamente impedita nel caso di ITAPI), molti psicologi cercano di dotarle i propri Test con tali Scale. Queste si propongono infatti di mettere alle strette il millantatore, ovvero colui il quale tentasse di presentare l'immagine di sé ritenuta più vicina allo stereotipo atteso dal suo selezionatore; ad esempio: con l'obiettivo, ritenuto perverso, di trovare lavoro. Analogamente, in ambito clinico-psichiatrico, la Scala di “Bugie” (così come quelle, analoghe, di “Desiderabilità sociale” e simili) dovrebbe servire a intrappolare coloro i quali non desiderano essere definiti “malati di mente” dallo psicologo o dal medico, bensì cercano di sembrare, per quel che gli riesce, “normali”.
Questa tipologia di Scale, spesso, appare peraltro decisamente fragile se non ridicola, nel senso che la natura di falsità delle risposte è definita, nella maggior parte dei casi, dagli stereotipi che sulla Scala vengono proiettati dal ricercatore stesso che l'ha costruita. Per cui non registra, per così dire “oggettivamente”, il fatto che il soggetto ha mentito; bensì evidenzia soltanto il fatto che questi ha risposto in un modo cui l'estensore del Test attribuisce carattere mistificatorio (quanto meno: per l'obiettivo commerciale-professionale perseguito dal Test stesso).
La presenza della Scala per acchiappare (piuttosto fantasticamente, in effetti) i “simulatori” ha però sempre gratificato soprattutto il committente (tipicamente: la direzione del personale, piuttosto che l'ufficio psicologico dell'esercito o di quant'altro), il quale è convinto che molte persone, quando cercano di trovare lavoro o di evitare la leva militare obbligatoria o simili, non raccontano tutta la verità.
E trovano in alcuni psicologi (equipaggiati di queste loro astute Scale-detector) una dimostrazione del fatto che la loro diffidenza è oggettivamente fondata. E quindi trovano anche, o almeno così sperano, degli alleati per mettere a posto tutti quelli che non collaborano pienamente, ovvero che non sono disposti a sacrificare le proprie aspirazioni alle specifiche esigenze dell'esercito o dell'azienda o di quant'altro.
E speriamo suoni inutile sottolineare che lo spirito del Programma ITAPI è piuttosto lontano da questo genere di obiettivi scientifico-professionali.
 
 
 
 
 
L) ITAPI utilizza, per realizzare il Profilo di Personalità dei soggetti, un numero di Fattori non prefissato
 
Di fatto, il numero di Voci che l'Analisi Fattoriale ha evidenziato come particolarmente adeguato per descrivere statisticamente i dati raccolti con ITAPI-G è di sette. Tuttavia: si tratta appunto di quello che è emerso dall'analisi statistica; mentre non abbiamo alcuna preclusione a fare riferimento ad un numero di Fattori differente.
Ovvero, detto altrimenti: non crediamo che esista un particolare numero aureo, o magico, di Fattori per un Inventario generale di personalità. Per cui, seguendo una tradizione che ci accomuna alla gran parte dei ricercatori in materia, utilizziamo il numero di 7 Fattori per ITAPI-G come un fatto strumentale, sempre pronto a modificarsi di fronte a nuove evidenze.
La tradizione della scelta dei Fattori, nella ricerca psicologica (anche, ma certo non solo, relativa alla personalità) è infatti sempre stata molto elastica e mutevole. Storicamente, ad esempio: a prima vista sembrano non avere grande successo i modelli di personalità con solo uno o due Fattori.
Ma, ad approfondire appena un poco la questione, il dato non risulta poi così certo: se solo si considera che il grande prototipo del Reattivo mentale, ovvero la tipologia di Test assolutamente più usata ovvero il Test di intelligenza, si presenta come intrinsecamente mono-fattoriale. Il concetto stesso di quoziente intellettuale (il leggendario: QI) è mono-fattoriale per definizione: minimo o massimo che sia, lungo una scala di intelligenza. La teoria mono-fattoriale della persona è del resto molto radicata nel pubblico. L'idea che gli individui si distinguano in “poco” e “molto” intelligenti, fa parte della teoria ingenua della personalità. Il che accade anche per concetti meno cognitivi, come l'idea di una personalità più o meno forte o debole, più o meno buona o cattiva, più o meno normale o anormale, più o meno sana o patologica ecc. Concetto mono-fattoriale (presenza-assenza-variazioni di una singola qualità generale di base) che peraltro è molto diffuso in campo psicologico, ad esempio in tanta letteratura di taglio psicodinamico (magari con la più scientifica definizione di forza o debolezza dell'Io).
D'altra parte, è proprio uno dei padri maggiori della teoria fattoriale dell'intelligenza e cioé Thurstone (1934) che, ispirandosi esplicitamente a quel modello statistico che identifica un Fattore generale (G) di intelligenza, si chiede se non valga la pena di cercare, anche con riferimento alla personalità, un analogo Fattore G di natura personologica. Per cui sviluppa delle analisi statistiche con cui evidenziare diversi indizi in tale direzione (e stimolando anche qualche ulteriore perplessità sul tema). L'idea, con esplicito riferimento a questi autori, viene ripresa pure, tra gli altri, da Rogers (1935), il quale ritiene di isolare un Fattore generale di questo tipo, che definisce come “perseveration”, nella personalità. Mentre, partendo dagli stessi punti di riferimento, ci prova anche Stephenson (1935), con qualche successo.
In realtà, a ben vedere: il modello mono-fattoriale risulta essere pressoché onnipresente nella letteratura di ricerca sulla personalità, benché con riferimento a singoli Tratti personologici. Tutti i Tratti della moderna letteratura scientifica in materia sono infatti concettualmente mono-fattoriali. Il che crea talvolta una curiosa situazione, specie nelle molte ricerche dove una persona viene valutata in base a un modello di personalità riferito a un singolo Tratto, ma che, una volta di più, viene poi considerato nei fatti come se fosse un Tipo (mono-fattoriale). Per cui, ad esempio, il tale individuo viene definito (in una sua caratteristica generale di base) come un tipo: ansioso, rispetto a non-ansioso; introverso, rispetto a estroverso; sensation seeker, rispetto a non-sensation seeker ecc. Ma ci sono anche molte altre soluzioni in materia, di cui forniamo qui di seguito qualche testimonianza, tra mille altre differenti, giusto per evocare l'idea.
Il molto discusso, ma grande analista fattoriale, Cyril Burt (1938), ad esempio, calcola che, per descrivere adeguatamente la personalità, sono più che sufficienti due Fattori bipolari, riferiti a: emozioni aggressive in contrapposizione a emozioni inibite; emozioni piacevoli in contrapposizione a emozioni spiacevoli. Mentre anche Krueger (1996) ritiene di identificare un modello a due Fattori, per definire la personalità (patologica) della gente, basandosi però su due voci mono-polari: problemi internalizzati e problemi esternalizzati.
Cloninger (1994) identifica invece tre Fattori e costruisce un Test generale di personalità (detto: Temperament and Character Inventory), che ha un certo successo e viene ampiamente usato in letteratura. Poi però, basandosi su un modello di tipo psico-biologico, dimostra che i Fattori sono sette (1998); anche se molti continuano a usare il suo Test a tre Fattori, chiamandolo anzi con il nome dell'autore. Mentre anche Aluja, Garcia e Garcia (2002) dopo avere comparato soluzioni a tre, quattro e cinque Fattori, dimostrano che la soluzione a tre Fattori (che definiscono rispettivamente: Neuroticism, Extraversion and Psychoticism) è la più convincente.
Un altro gruppo di ricercatori dimostra invece che i Fattori della personalità sono anche di più. Ortet et Al (1999), i quali pure utilizzano la versione spagnola dell'Eysenck Personality Inventory (tipicamente: a tre Fattori), ne identificano in effetti quattro: psychoticism (P), extraversion (E), neuroticism (N) e dissimulation-conformity (L). Anche Sasaki, Hoshino e Tanno (2002), con un campione di studenti giapponesi, identificano quattro Fattori. Deisinger (1995), studiando la struttura fattoriale del Personality Assessment Inventory (PAI) con un campione di adulti, ne identifica quattro pure lui. Mentre, secondo una ricerca di Foster (1955), anche le risposte al Test di Rorschach, quando vengono sottoposte ad analisi fattoriale, evidenziano quattro Fattori principali.
Jackson, Ashton e Tomes (1996), con attente analisi statistiche, dimostrano invece che i Fattori della personalità sono sei. Mentre ancora Ashton et Al (2004), conducendo un'analisi psico-lessicale sul tipo di quella utilizzata per definire i Big Five, ma con riferimento a sette lingue diverse (compresa quella italiana) confermano che i Fattori sono sei.
Dal canto loro, Tellegen, Grove e Waller (1991), come vedremo meglio anche più oltre, costruiscono un Test (Inventory of Personal Characteristics: IPC-7) che si fonda su sette Fattori. Saucier (2003), esaminando anche lui diverse analisi psico-lessicali in quattro lingue (italiano compreso), analogamente a come appunto aveva fatto Ashton chiarendo che i Fattori sono sei, dimostra invece che i Fattori sono certamente sette; e li intitola Multi-Language Seven (ML7) factor model: Gregariousness, Self-Assurance, Even Temper (vs Temperamentalness), Concern for Others, Conscientiousness, Originality/Virtuosity and Negative Valence (or Social Unacceptability). Goodloe e Borchelt (1998) identificano invece 22 Tratti di personalità, ma con un campione di 2.018 cani (molti più di quelli del lavoro pionieristico di Rossignol, 1892; di cui vederemo oltre), diagnosticati dai loro proprietari in base a una scala che contiene 127 item.
Lasciamo, per il momento, da parte le funamboliche evoluzioni fattoriali di Cattell, che (come vedremo meglio più avanti) utilizza scientificamente, in momenti diversi del suo lavoro, un numero di Fattori che varia almeno da 0 a 19, passando anche per: 4, 7, 12, 15 e 16 Fattori; tutti sempre piuttosto chiari e sicuri. E ricordiamo invece il caso, particolarmente curioso e rappresentativo, del vivace lavoro di Andrew Comrey e del suo Comrey Personality Scales o CPS (a otto Fattori), sia perché si tratta di un autore molto citato in letteratura, sia perché ha una brillante competenza statistica, sia perché ha condotto ricerche anche su campioni di culture differenti da quella classica statunitense, e particolarmente su campioni di italiani in epoche assai diverse (dagli anni '50 al 2000).
Quando infatti vengono confrontate le risposte a un Big Five, espressi da due diversi campioni di studenti universitari dei quali uno italiano e l'altro statunitense (Caprara, Barbaranelli, Hahn, Comrey, 2001), si scopre che: mentre i cinque Fattori sono ben definiti per gli statunitensi, per gli italiani ne sono definiti soltanto tre. Se invece, nella stessa ricerca, si analizzano i dati confrontando le risposte al Big Five e quelle alle Comrey Personality Scales, si scopre poi che i Fattori sono quattro per gli statunitensi e cinque per gli italiani. Peraltro, in una precedente analoga ricerca condotta però solo su un campione di studenti italiani (Caprara, Barbaranelli e Comrey, 1992) si confermava la validità e la stabilità degli otto Fattori del CPS. In un'altra precedente ricerca ancora, la somministrazione di tre Test (Cattell 16 Personality Factor Questionnaire o 16 PF; Comrey Personality Scales o CPS; Eysenck Personality Inventory o EPI), su un campione stratificato di Australiani adulti, portava gli autori, dopo adeguate analisi fattoriali, a concludere che il numero di Fattori giusto è cinque (Noller, Law e Comrey, 1987). In precedenza, lo stesso Comrey (e Jamison, 1966) aveva dimostrato sperimentalmente che il numero giusto di Fattori è sei. Ancora prima (Comrey, 1962) ne aveva identificati diciannove. Ma in una ricerca precedente ancora, con 360 studenti italiani a Milano cui veniva somministrato lo MMPI (Comrey e Nencini, 1961), ne aveva identificati cinque. Nello stesso anno, basandosi su suoi precedenti lavori e sulle risultanze di Cattell e di Guilford, ne aveva definiti trentasei (Comrey, 1961). Poco prima, con un campione di 252 italiani, definiti alcuni come normali e altri come patologici, ne aveva identificati invece ventuno (Comrey, 1960). E così via.
 
 
 
 
 
 
 
 

ITAPI: Il Programma Scientifico - La presentazione di alcuni aspetti rilevanti del progetto sugli Inventari Italiani di Personalità, dalla vive voce del coordinatore scientifico del Programma ITAPI.
 
 
ITAPI: I Test principali - Una breve presentazione dei 4 principali test realizzati e messi in condivisione internazionale da ITAPI.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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